Alcuni giorni fa ho avuto modo di parlare con Carmelo, un caro amico che, facendo carriera militare, è stato inviato per ben due volte in missione di pace nel lontano Afghanistan, una terra a noi sconosciuta che sentiamo nominare solamente nei notiziari, e, a parte le sue esperienze nell’esercito che indubbiamente hanno segnato la sua visita in questo paese, ho cercato di capire che cosa lo avesse colpito dei luoghi che ha visitato e dei popoli che ha conosciuto.
Ne è venuta fuori l’immagine di un popolo provato dai lunghi anni di conflitto, di gente che necessita di una spinta e di una aiuto a credere maggiormente in se stessa affinché possa far valere i propri diritti e possa affermare i propri valori spesso subissati da un regime estremista e totalitario.
In una tale realtà il confine tra chi ha ragione e chi ha torto spesso tende ad essere falsato, a farsi labile, e il rischio è che la società sprofondi nella corruzione e nella miseria, ma in mezzo a questa confusione si intravede comunque un barlume di speranza, la voglia delle persone di essere libere e poter vivere a testa alta, a partire dalla creazione di fondamenta che possano sostenere i villaggi e diano l’opportunità di crescere alle nuove generazioni edificando scuole, acquedotti, ospedali, pozzi per l’approvvigionamento idrico e varie altre strutture essenziali.
Difficile quindi osservare il tutto con gli occhi del turista, in tali condizioni spesso predomina la professionalità del ruolo che si ricopre, ma vivere un totale di 12 mesi, in due permanenze di 6 mesi ciascuna, ti porta inevitabilmente anche a vivere e capire un luogo così duro.
L’Afghanistan oltre la guerra
Di tante cose viste laggiù Carmelo ricorda con piacere i tramonti in Afghanistan, quando il sole scende e tocca l’orizzonte tutto quanto si tinge di rosso. Gli ambienti cambiano totalmente colore e il cielo e la terra rossa sembrano infuocati, tutto diventa di un arancione intenso e il mondo sembra cambiare radicalmente.
L’altra esperienza sensazionale è la notte, l’oscurità ammanta ogni cosa e non si vede una luce per chilometri, non ci sono illuminazioni artificiali e nemmeno rumori, il buio pesto è interrotto solo dalle luminosissime stelle e dalla Luna, immensa, che pare essere mille volte più grande di quanto la si veda in Italia.
Il territorio afghano ha una conformità molto varia, vi sono zone montuose e vallate molto suggestive, si trovano i deserti sabbiosi fatti di grandi dune e quelli rocciosi, che si trasformano in fiorenti oasi non appena vengono a contatto con i corsi d’acqua che affiorano in superficie.
Ambientazioni insomma che in condizioni normali farebbero da scenario a escursioni di trekking, arrampicata, gite con dromedari o cammelli tra le sabbie o ancora divertenti percorsi adatti alle moto o ai quad. Che bello sarebbe l’Afghanistan.
Le grandi città poi conservano ancora importanti edifici, quartieri ricchi e ben tenuti in cui vivono grandi personalità locali, come la zona collinare di Herat, portali cittadini imponenti, lussuosi palazzi e moschee di immensa bellezza, tutti tipicamente in architettura araba.
Molto caratteristici sono i grandi bazar di Kabul ed Herat, vasti mercati di bancarelle bellissimi da visitare e in cui pulsa il cuore commerciale dell’Afghanistan, un forte contrasto con le umili condizioni in cui vivono gli abitanti dei numerosi villaggi disseminati all’interno dei suoi confini.
Vivere l’Afghanistan, un’esperienza che ti segna
In particolare ‘Carme‘ mi racconta come tutto divenga più bello e curato a mano a mano che ci si avvicina ad una grande città via terra. Strada facendo le aree di sosta, che in principio possiedono solamente una pompa di benzina, divengono sempre più fornite, avanzando si possono trovare le prime bancarelle, poi veri e propri negozi, poi aree di ristoro e fino ad arrivare all’ultima area di sosta, appena entrati in Herat, che confronto alle altre sembra essere un distributore super lusso con tanto di centro commerciale, ma che, a ben guardare, somiglia molto ai nostri Autogrill autostradali.
La periferia invece versa spesso in pessime condizioni, la gente vive in capanne di terra e paglia e alcuni villaggi sono privi di acqua corrente, l’elettricità è pressoché inesistente, anche se alcuni possono permettersi un generatore e, in alcuni casi, vantano una parabola che fa capolino sui tetti.
Le periferie spesso sono squadrettate dalle poche coltivazioni realizzate strappando fazzoletti di terreno alla siccità, frequenti sono i greggi di capre o pecore i cui pastori sono al 99% bambini e le carovane di dromedari che attraversano lentamente il deserto.
Le strade sono praticamente inesistenti e ci si sposta seguendo delle piste battute al di fuori della superstrada, l’unica strada asfaltata che congiunge ad anello tutte le principali città afghane e che spesso si trova in condizioni rovinose e con il manto stradale sconnesso.
Una stranezza che lo ha colpito visitando tutti questi luoghi è come molte persone, residenti nei villaggi più lontani, possano vivere in completo isolamento dal mondo. Come non solo non immaginino cosa si trovi nelle grandi città, ma addirittura non conoscano nulla al di fuori dei confini del proprio villaggio.
Sposto l’attenzione sull’aspetto alimentare, io sono un inguaribile curioso quando si tratta di cibo, e scopro che Carmelo in varie occasioni ha rinunciato ad assaggiare la carne locale, dopo avere assistito alla macellazione e considerando l’assenza di celle frigorifere ha preferito astenersi.
L’unica specialità che ha trovato molto buona è il pane casereccio, che dice simile alle nostre focacce, ma che, ahimè, viene impastato utilizzando i piedi.
Per andare sul sicuro meglio dedicarsi alla frutta, pare che le angurie e i meloni, che qui hanno la forma allungata e sembrano delle grosse zucche o zucchini, abbiano un sapore squisito e molto dolce. E sempre di origine vegetale sono i succhi di frutta locale, freschi, gustosi e ricchi di polpa.
Il cibo è stato un modo per sdrammatizzare, Carmelo a volte si emoziona, e mi racconta di un popolo forte, con una cultura radicata nelle generazioni passate, apparentemente molto più antica e presente di quella dei popoli occidentali nella quotidianità.
Tuttavia la società in Afghanistan è molto frammentata sopratutto a livello di caste, ma anche a livello linguistico.
La lingua parlata dagli afghani si suddivide in alcuni dialetti, locali o dipendenti dallo strato sociale di appartenenza, ma i più frequenti sono il dari e il pashtu, tra cui quest’ultimo è il più diffuso nonché il più parlato dall’etnia principale del paese.
Le differenziazioni sociali invece dipendono principalmente dalle origini etniche di ciascun individuo, troviamo quindi gli Aimak, i Baluchi, i Dardi, i Nuristani, i Pashtun, i Sarik, i Tagiki e infine gli Hazara, considerati lo strato più basso.
Indipendentemente da chi tu sia, se sei nemico o amico, cristiano o musulmano, povero o ricco, ricorda che per gli afghani l’ospite è sacro. Se si riceve un invito da parte di una famiglia afghana, rifiutare o offrirsi di portare cibo in dono consiste in una grandissima offesa.
Per la famiglia afghana, seppur si possa trovare in grande difficoltà economica, è fondamentale fare del suo meglio, anche a costo di una grande spesa economica, pur di far sentire l’ospite a proprio agio. Egli sarà oggetto del più assoluto rispetto, tale da non potersi riscontrare in nessun paese del mondo occidentale. Unici doni graditi possono essere della frutta, dei fiori oppure un regalo proveniente dal proprio paese d’origine.
La religione in Afghanistan è quella islamica e i dogmi dettati dal Corano influiscono molto sulle usanze e sulle tradizioni che si tramandano.
La speranza per queste terre è di trovare un equilibrio e, chissà, un giorno potrebbero essere una nuova meta turistica, del resto i luoghi d’interesse non mancano affatto.
Tuttavia al giorno d’oggi suppongo non sarebbe affatto facile spostarsi all’interno del paese, i pochi aeroporti sono stati quasi tutti militarizzati e sebbene siano presenti alcuni grandi hotel, a Kabul e Herat, i trasporti pubblici sono poco sicuri e ridotti all’osso, i treni sono inesistenti.
Carmelo racconta di aver visto passare un giorno un pullman a due piani, ma non esattamente come quelli a cui siamo abituati, in quel caso sopra ad un normale bus era stato legato e fissato un pulmino più piccolo ed entrambi erano colmi di passeggeri accalcati.
La strada statale, quella ad anello, è frequentemente battuta da mezzi militari e al di fuori di essa ci si sposta con veicoli adatti allo sterrato: fuoristrada, motociclette (tutte marchiate Pamir) e numerosissime Toyota Corolla bianche (non se ne capisce il motivo, ma ce ne sono ovunque).
Osservo i profondi occhi scuri di Carmelo, partito ragazzo e tornato uomo, è difficile immaginare quanto dure possano essere alcune situazioni, ma un buon metro di misura è vedere quanto ne sia tornato cambiato un caro amico.
Sentire raccontare che la popolazione locale è ormai avvezza allo stile di vita estremo e spesso convive con situazioni pericolosissime come se non esistesse alcun rischio è qualcosa di davvero drammatico.
Di quel mondo Carme sente la mancanza degli amici trovati, ma sopratutto sente la mancanza di un cane, un cucciolo bianco che avrebbe voluto portare a casa con se, ma che ha dovuto lasciare a terra a causa della difficile regolamentazione veterinaria.
Nel rispetto di un’altra grande usanza afghana però, ha portato con se un narghilè, che gli afghani chiamano čilīm, nella speranza di fumarlo un giorno con i suoi migliori amici in segno di unione, amicizia e fratellanza proprio come vuole una delle più antiche tradizioni afghane.
Questo è l’Afghanistan oltre la guerra vissuto da Carmelo. Scoprilo anche con gli scatti fotografici che Carmelo ha realizzato in questa terra.
Di seguito trovi qualche consiglio per soggiornare a Kabul, non perché questa destinazione sia da me consigliata come meta turistica, ma perché potresti dover raggiungere l’Afghanistan per lavoro o per vari casi della vita e penso potrebbe esserti utile.
Ho apprezzato molto. Trovo lodevole e giusto che l’Afghanistan venga conosciuto per quello che effettivamente è e non solo per la guerra e talebani!
Grazie Andrea per il tuo commento, questo post (testimonianza del nostro amico Carmelo in missione in Afghanistan) vuole proprio permettere a chi lo legge di pensare che, prima di tutto, in Afghanistan ci sono un popolo e una terra che aspettano di vedere la libertà… e speriamo che possa per loro finire presto la guerra.
Davvero uno splendido reportage… Fa piacere leggere ogni tanto informazioni da persone come il tuo amico che ci sono state veramente..
Grazie Fabio, intervistare Carmelo, sentirne i racconti e cercare di trasmettere le sue sensazioni in un testo non è stato semplice, mi fa piacere che il suo punto di vista si percepisca.
Bhe’ Roberto, credo sia ovvio e sottinteso e condivido quello che scrivi ma credo che sia anche sottinteso che non si volesse promuovere un tour da queste pagine. Sognarlo magari si, un domani, e vorrà dire che il paese sarà pronto ad accoglierlo , quindi libero da oppressioni, con la sicurezza di tornare in hotel come dici tu quando ci saranno gli hotel…
Concordo con JOSH che dice basta bianco e nero , è bello anche riuscire a vedere le sfumature ! e siamo stufi di chi ci ricorda tutte le volte che la guerra è un dramma che il paese l’ha voluta , la sostiene, ecc ecc .
Permettetemi di “portare” in questo contesto la mia esperienza di oltre 2 anni trascorsi in Afghanistan. Dal lontano 2003 ho avuto l’onore/onere di lavorare in questo martoriato paese e da est ad ovest, passando da Kabul, credo di averlo conosciuto abbastanza. Purtroppo l’Afghanistan di oggi non è quella delle prime pagine del famosissimo libro “The kite runner” di Hosseini. A detta degli stessi afghani, infatti, loro hanno contribuito a distruggere tutto ciò che di buono c’era e mi riferisco tanto alla cultura quanto ai magnifici edifici di Kabul, Herat e le altre principali città afghane. Certo, anche io porto con me nel cuore i cieli stellati, le vette innevate e le rondini che saettano indisturbate tra le sterpaglie ma, parlare oggi di turismo in quel paese credo non faccia bene né a loro né a chi legge! Troppi sono infatti i problemi che attanagliano questo meraviglioso paese dove un chirurgo guadagna 80 dollari al mese e dove tornare a casa la sera nelle proprie capanne non è sempre garantito. Tanto noi occidentali abbiamo fatto e tanto faremo ancora ma molto di più dovranno ancora fare loro perché si possa presto tornare a parlare di un paese civile. Temo che per poter andare in giro in moto tra gli altipiani afghani dovremo aspettare ancora un bel pò.
Grazie Roberto per il tuo intervento, ritengo sia giusto poter sentire differenti punti di vista a riguardo di questo argomento, del resto lo scopo di un blog è anche far riflettere i lettori e, sopratutto, lo scrittore che nel post ha inevitabilmente inserito un suo punto di vista.
Lungi da me l’intenzione di presentare l’Afghanistan come una paradiso incompreso, ho solo cercato di trarre dalle parole di un caro amico una parte, seppur minima, di ciò che si cela nella società afghana ed è tuttora oscurato dalle ombre del conflitto.
Concordo in pieno sul fatto che il popolo afghano necessiti di tempo, per trovare il proprio equilibrio, per debellare il regime estremista e per tornare ad essere una nazione libera e fiera di esserlo.
Grazie Gian per aver dato voce ai racconti di Carmelo e soprattutto di aver riportato alla mente di noi tutti cosa significa vivere in un paese martoriato dalla guerra.
Solo il racconto di chi ha vissuto in quel luogo può far riflettere piuttosto che una fredda immagine o articolo di telegiornale che spesso pone gli accenti solo su determinate notizie….
E’ bello poter cogliere le speranze,la voglia di “andare” avanti della popolazione nonostante vivano quotidianamente a contatto con il pericolo.
La cosa più bella è riuscire a cogliere i lati emozionali che l’ambiente,le persone riescono a trasmettere
Son quelle emozioni che restano sempre impresse nel cuore e che non si potranno mai dimenticare
Credo che sia importante ringraziare tutte quelle persone (soldati,volontari etc..) che come Carmelo hanno dato e danno il proprio contributo per cercare di ripartire e garantire un equilibrio in quel Paese
Grazie a te Piè per i commenti sempre gradevoli che mi lasci, che dire, non posso che concordare con le tue parole ed augurare all’Afghanistan un futuro migliore.
Molto molto bello. Come sai io ho vissuto questa esperienza a “distanza” e rileggendo ho ritrovato tanto dei racconti di Roberto. Mi è salito il groppo in gola pensando ai ragazzi, anche nostri amici, che sono là adesso.
La speranza è che i bambini che badano ai greggi oggi, possano essere liberi e tranquilli di correre senza pericoli in un futuro non troppo lontano.
Grazie Paola per avere apprezzato! Sentire di questo paese dalle parole di chi c’è stato riesce davvero a farti provare i brividi… auguriamo al popolo afghano un futuro di libertà!
Non è facile trovare chi scrive su questi difficili territori lasciando il giusto spazio a ciò che c e’ di sbagliato o di giusto, di bello o di meno bello, di emozionante o di drammatico.
Siamo abituati troppo spesso , dai media , ad apprendere ed interpretare le cose soltanto a due colori . Bianco o nero! Mentre in questo racconto si colgono sfumature sincere, che rendono tutto più leggero e piacevole alla lettura . Complimenti davvero
Ti auguro di poterlo un giorno visitare come sapete fare voi blogger.
Un “media”
Grazie Josh, è un piacere sapere che un post su un luogo così complesso da spiegare sia stato gradito.
Di certo ad oggi il conflitto oscura la bellezza di questo paese, ma speriamo che questa gente possa presto trovare la propria libertà.
Che dirti. Ho letto davvero volentieri questo racconto visto con gli occhi di chi c’e’ stato.
Mi sono tornati alla menti libri e articoli che parlavano di com’era la’ “prima”. Molti lo descrivevano come un paradiso, una terra bellissima e molto “proiettata” verso il futuro.
Spero davvero che Carmelo possa presto fumare il cilim con i suoi amici e che questa popolazione martoriata trovi un po’ di pace.
Grazie per aver raccontato questa storia, e’ importante ricordare che il mondo non e’ solo quello visto “da noi turisti”.
Fra
Grazie a te Francesca per questo commento e, che dire, hai assolutamente ragione, speriamo che presto questi popoli, un tempo splendenti, possano ritrovare la luce perduta, come si addice alla leggendaria Fenice, e la loro terra ritorni un luogo di pace.