In previsione di alcuni importanti eventi che avranno luogo presso l’Area del Brich di Zumaglia e dell’Area Verde di Ronco Biellese ci proponiamo di recarci sul posto per visitare e raccontarvi come sempre le bellezze e le curiosità sugli angoli della nostra provincia. La nostra meta è il Castello di Zumaglia.
Documentandoci con risorse presenti in rete, precisamente sul sito ufficiale della Valle Cervo, sull’archivio online di Biella Club e sul sito dell’associazione sportiva ASD Fulgor Ronco Valdengo cercherò di ricostruire la storia del Castello di Zumaglia attraverso gli eventi documentati e le leggende che ne fanno da contorno.
Il Castello di Zumaglia, da sempre simbolo dell’omonimo paese, dall’alto della collina del Brich domina il sottostante borgo di Ronco Biellese, a separare Ronco dal maniero si trova una vasta area boschiva, riconosciuta come riservanaturale, nella quale numerosi sentieri permettono di attraversare suggestivi percorsi fino a raggiungere la cima ai piedi del piccolo castello.
L’area attrezzata regionale del Brich di Zumaglia è stata acquistata negli anni passati dalla Comunità montana Bassa Valle del Cervo e da questa è stata riportata all’antico splendore.
Nel parco le specie forestali autoctone si mescolano con specie ornamentali introdotte allo scopo di trasformare il preesistente bosco in un parco cosiddetto “romantico”, avvalendosi anche di classici elementi architettonici.
Le piante resinose rappresentano il gruppo di interesse ornamentale maggiore; sono presenti i seguenti generi: Abies, Cedrus, Chameacyparis lawsoniana, Larix, Cupressus, Juniperus, Taxus baccata, Sequoiadendrum giganteum, Tsuga canadensis e Menziersi. Tra le latifoglie autoctone rappresentano la parte preponderante: Acer campestre e montano, Fagus sylvatica, Quercus, Alnus incana e glutinosa, Betula, Fraxinus excelsior, Castanea sativa, Robinia pseudoacacia.
Il parco è inserito in un unico Ente che gestisce anche le aree protette delle Baraggie e della Bessa oltre al Brich e Mont Preve, ed è amministrato da un Consiglio di Amministrazione del quale fanno parte anche i rappresentanti della Comunità montana e dei Comuni di Ronco Biellese e di Zumaglia nei cui territori insiste l’area. Infine rimane da sottolineare la presenza, sulla sommità della collina, di un castello ricostruito nel 1938, sui ruderi dell’antico Castello, smantellato nel 1558, e del quale restano solo alcune tracce originali, fra le quali la cisterna e una cella dove fu rinchiuso per vent’anni il capitano Pecchio. La torre, visibile oggi da tutto il basso Biellese, fu ricostruita nel 1870. Il luogo offre una bellissima vista panoramica sul Biellese.
Le storie del Brich di Zumaglia
Durante la castellania del de Arlie, e precisamente nel Luglio 1384, avvenne nel Castello di Zumaglia un fatto curiosissimo. Nel bel mezzo di un furioso temporale, la folgore colpì una torre, suscitando un incendio che rapidamente si andò propagando. Anche allora, come oggi si suol dire, la guerra era bella ma scomoda. Giovanni de Arlie dovette far fronte alla nuova situazione e organizzare l’opera di spegnimento.
E come si avvide che l’acqua della cisterna era insufficiente, radunò la guarnigione nella cantina del Conte (Amedeo di Savoia, detto il Conte Verde), e, sguainata la spada non ancora gloriosa d’una goccia di sangue nemico, pronunciò un breve ma assai incitante proclama, che dovette essere presso a poco di questo tenore: “L’insidia del fuoco incombe su di noi. La fiamma ne circuisce. Per somma disgrazia la cisterna è avara di acque. Io, quale comandante supremo della fortezza, vi autorizzo, anzi vi ordino di spaccare i tini del nostro alto signore. Viva il Conte!“. La guarnigione, eccitata dalla concione, levando in alto le secchie, rispose con un evviva fragoroso. Non risulta quanto di questo vino si stato trincato. Certo Ibleto di Challant non vide mai chiaro in questa faccenda dell’incendio spento col vino del Conte. Letto il rapporto, richiese spiegazioni e poi ancora sollecitò delucidazioni, e infine esigette anche il giuramento del castellano sulla verità del fatto.
Questi avrà pensato: “Quante scartoffie! E adesso anche il giuramento, per poche botti di vino!” (la sua figura non ci è descritta dai documenti; ma chi non se lo vede, con la faccia tonda e accesa, e il placido ventre sporgente?)
Dovette però scendere a Biella per giurare sui Santi Evangeli, dinanzi un magistrato. Si fece coraggio. Giurò.
I posteri, che sono sempre maligni, si chiedono: “Quanto vino sarà andato sulle fiamme, e quanto sarà sceso nelle arse gole dei soldati? Ma la storia non si cura di queste piccole cose. De minimis non curat praetor.
“O forse, è ancora il postero sospettoso che parla, le corpulenti botti del Conte già erano state asciugate da tempo, di comune accordo fra soldati e castellano? E l’incendio offrì la propizia occasione di occultare la spillatura copiosa ma illecita? Qualunque versione si voglia dare al fatto fa pur tuttavia piacere il constatare un così perfetto affiatamento fra soldati e comandante.
Come ogni antico maniero anche il Castello di Zumaglia avrebbe avuto tenebrose vie d’uscita sotterranee per assicurare la salvezza ai difensori della Rocca, allorché la resistenza fosse divenuta disperata.
Secondo l’opinione popolare le vie sotterranee d’uscita del Castello sarebbero tre: l’una scendeva alla Riasca; l’altra conduceva al poggio di San Gerolamo (oggi villa Sella), affiorando nel cuore del bosco; la terza si spingeva ben più lontano: addirittura sino ai castelli (anch’essi dei Ferrero Fieschi) di Gaglianico e di Candelo!
È invece facilmente identificabile ancor oggi il luogo preciso in cui si narra che si raccogliessero in diaboliche congreghe, le notti del sabato, arrivando per le vie dell’aria a cavalcioni d’una granata, le streghe della regione conosciuto come “Al Torrione”.
In questo luogo le streghe (o masche), che amavano anche comparire tramutate in gattoni miagolanti, partecipavano a banchetti satanici, con carni di teneri bimbi rapiti alle culle, e poi danzavano con cadenze lascive, e, ebbre di vino e di libidine, rotolavano sui muschi, e fornicavano coi diavoli. Alcune di esse originarie delBiellese vennero condannate dall’Inquisizione, come Caterina Rossi da Sordevolo, Giacomina e Luigia Anselmetti da Muzzano, e un’altra di Miagliano, Giovanna de Monduro.
A queste leggende si ricongiunge anche quella più conosciuta del caprone fantasma.
Al giovane che tornava dalla veglia, nel cuore della notte, ebbro di baci carpiti sulla soglia alla bella, passando per uno dei sentieri alla falda del colle, accadeva di imbattersi in una mostruosa figura. Era un caprone di eccezionale grandezza che sbarrava il passo. Le corna toccavano le foglie dei castagni. Se il viandante, ardito, tentava di proseguire ugualmente, il bestione s’impennava, ed emettendo spaventosi belati, minacciava di assalirlo. Talvolta, in luogo del capro, era un ariete, di diverso ma non meno orribile aspetto, che, armato anch’esso di lunghe corna ritorte, costringeva il camminatore a retrocedere. Tal’altra era invece una strana luce rossa, una fiamma vagabonda, una sorta di pennacchio infuocato, che inseguiva alle spalle il fuggente.
In queste mitiche immaginazioni è chiara per Zumaglia l’idea latente, il senso riposto: di una località paurosa, repellente, ostile. E palese è l’allusione al Castello, locus vitandus, un tempo ricetto di prepotenti e di ribaldi, che angariavano i poveri paesi del contorno. La voce popolare li indica qui come altrove col nome di “Gazzeri”. Ora, se pensiamo che furono pure chiamati così i seguaci di Fra Dolcino, e che questo nome servì per molti secoli a designare eretici, saccheggiatori, individui fuori legge, possiamo avere un’idea della buona opinione che gli abitanti del Castello godevano presso le popolazioni sottostanti, fra le quali vive ancora quest’altro ricordo.
Quando nei pollai di Zumaglia o di Ronco una gallina cantava, si poteva essere certi di vedere, di lì a pochi momenti, apparire di là dalla siepe il ceffo d’un armigero che esigeva la consegna dell’uovo. E se il villano glielo rifiutava, il soldato si portava via la gallina. Ma preferiva aver l’uovo fresco, ogni giorno, e lasciare che la gallina gliela mantenesse il villico. I Gazzeri o Gazzari avevano dei cavalli che conducevano ad abbeverare giù alla Riasca, passando, nell’andata e nel ritorno, per una di quelle strade sotterranee che non sono state sin qui ritrovate.
Fatterelli, si dirà. Sì, ma molto significativi, perché rilevano, nella loro persistenza, tristissime condizioni di vita in tempi in cui la legge non proteggeva punto uomini pacifici ed inermi, abbandonati all’arbitrio dei più forti, continuamente esposti a soprusi, a vessazioni, a violenze.
La tradizione accenna anche all’obbrobrio a cui erano sottoposte (qui come nel Canavese) le giovani spose di Zumaglia e di Ronco, le quali, la sera delle nozze, erano costrette a salire al Castello e ad offrire al signore, o a colui che in quell’occasione ne faceva volentieri le veci, il fiore ancora intatto della loro verginità. Su questo argomento, la voce popolare non è specifica, non rammenta particolari episodi, e anche i documenti tacciono; ma pensando a quanto succedeva (e le testimonianze documentarie sono qui esplicite) nel non lontano Castello di Masserano, di proprietà dei Fieschi, dobbiamo convenire che insidie all’onore famigliare non potevano mancare, nemmeno in quello di Zumaglia.
La leggenda della lavandaia che appariva tra i ruderi del Castello ogni qual volta un temporale s’approssimava, e stendeva su le pietre i panni macchiati di sangue, che né pioggia né sole arrivavano a imbiancare mai, è una icastica immagine di tutti i sanguinosi delitti perpretati od orditi lassù.
Leggende tristi, echi paurosi, superstiti risonanze di sventure e tragedie lontane! Ma una, che abbiamo serbata per ultima, ha un diverso andamento.
Nel Biellese delle leggende non ci sono soltanto streghe, ma anche fate e folletti simili ad amorini.
Il Castello fu un tempo anche abitato da esseri innocenti e gai. Erano folletti che scendevano di notte a visitare le stanze dei paesetti vicini. Durante le loro scorribande sostavano presso i letti ove giacevano, immerse nel sonno e sprofondate nei sacconi di foglie, rosee fanciulle. Per le donne già sformate dai parti, per le vecchie grinzose e canute, i maliziosi folletti non dimostravano sollecitudine alcuna. Ridendo pianamente, e operando con mirabile accorta agilità, si divertivano a sciogliere e a rifare le trecce alle belle dormenti. La mattina le ragazze, scendendo dal letto, avevano acconciature da damigelle di corte. I servizievoli spiritelli tornavano le notti successive a inserire la loro curiosità fra le lenzuola. E se scoprivano che i ricci erano sfatti e le trecce allentate o sciolte, s’indispettivano e castigavano le negligenti senza alcun riguardo.
O intraprendenti folletti del Brich, le vostre birichine avventure d’après minuit, ricamano una simpatica nota di festevolezza sull’oscura trama di un caro folcrore!
La storia del Castello di Zumaglia giunge dunque da epoche remote, numerosi eventi storici ebbero questi luoghi come scenario e numerose leggende come abbiam visto ci giungono tramandate dalla tradizione e dalle dicerie popolari.
Con questo contesto a fare da sfondo, in alcune occasioni, il Castello apre le porte, ed è possibile visitarlo e percorrere il cammino che dall’Area Verde di Ronco Biellese risale la collina.
Commenta per primo