Una notte trascorsa tra le rocce di una delle riserve naturali del Biellese che porta con se la storia antica di questo territorio. La voglia di cercare, e capire, se le dicerie sulla casa nella Bessa siano vere. Se in quello che molti chiamano il Castello Incantato davvero ci siano delle presenze e, come raccontano molti testimoni, si sentano voci nella notte e lo spirito dello scrittore che la abitava ancora si aggiri tra gli alberi.
Sembra il racconto di una trama dell’orrore, invece tutto questo è molto più reale. Più vicino alle nostre vite di quanto possiamo pensare. Durante #ExploreBorriana, la tappa del progetto #ExploreBiella che sta raccontando il Biellese sul web, gli abitanti di Borriana ci hanno parlato del forte legame che li lega alla Bessa. È un territorio difficile, dove a regnare sono le rocce e la vegetazione che tra esse riesce a crescere e farsi spazio.
Il fascino di questo luogo è immenso. Con la sua storia legata ai Vittimuli, che vivevano lungo le sponde dell’attuale Torrente Elvo. E con il successivo arrivo dei Romani, avidi di conquista e di ricchezze, che si instaurarono in quest’area per sfruttare le aurifere che rendevano buona parte del corso dell’Elvo una miniera d’oro a cielo aperto.
I Massi Erratici
I massi erratici, che si possono frequentemente trovare nel bosco, hanno da sempre avuto nell’immaginario collettivo un significato molto mistico. Luoghi ritenuti carichi di magia e di energie capaci di influenzare la vita.
Molti di essi sono stati individuati e utilizzati come altari presso i quali venivano, e talvolta vengono tuttora, eseguiti dei riti a scopo principalmente propiziatorio. Le rocce, come accade anche con il Roc d’la Vita di Oropa, erano ritenute, secondo il culto popolare pagano della Mater Matua, dei contenitori sacri di energie capaci di donare la fertilità. Credenza che, nella cultura popolare dei paesi confinanti con la riserva della Bessa, è ben viva e tuttora ritenuta vera da alcuni.
Un esempio ne è il Roc Malegn, un grande masso erratico spaccato in tre parti che si trova nel pressi di Vermogno, frazione di Zubiena. Durante la nostra esplorazione della Bessa ci siamo recati anche in questo luogo. È un sito ricco di fascino grazie alle iscrizioni rupestri che vi si trovano incise. Simboli primitivi che raffigurano delle figure unite a coppie, elemento che va a rafforzare la convinzione che il ruolo sacro di questa roccia fosse legato alla coppia.
A concretizzare ancor più le teorie, che dicono che questi luoghi siano ancora oggetto di culto, sono le numerose offerte votive che abbiamo ritrovato sparpagliate nei paraggi. Tra di esse i melograni, le mele e le ciliegie (frutti dalla chiara simbologia legata alla donna e alla fertilità), ma anche nocciole e piccoli amuleti di pietra che hanno la funzione di catalizzare le energie per renderle più efficaci.
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La casa nella Bessa
Nel cuore della riserva, proprio in mezzo ai mucchi di rocce accumulati dai Romani durante la loro famelica ricerca dell’oro, si trova la misteriosa casa nella Bessa. Un luogo semplice, ma altrettanto meraviglioso per la particolarità delle forme della sua architettura.
Proprio queste forme curve e i tetti a punta hanno indotto alcuni, che mai si sono avvicinati a sufficienza, a chiamare questo luogo il Castello Incantato. La storia narra che fosse un’ipotetica dimora meravigliosa della quale spuntavano tra le fronde solamente i tetti molto particolari. Altri invece, come ci riferisce un anziano signore incontrato in Casale Ferreri, frazione di Zubiena (comune in cui questa strana casa si trova), l’hanno battezzata il ‘villaggio africano‘. Ed effettivamente, viste le piccole dimensioni della casa e il canneto che cresce attorno a quasi tutta l’area, questa immagine si rivela più somigliante.
Avvicinandoci per osservarla meglio, abbiamo potuto vedere la sua struttura suddivisa in varie zone abitative. Vi si trovano un bagno, una piccola casetta con dentro un camino e una panca in muratura che si trova a parete lungo tutto il perimetro, un pozzo da un lato e quella che sembra una bizzarra cuccia dall’altro.
Mentre, a un po’ di distanza, ricavato nelle pietre dei cumuli, troviamo una nicchia sotterranea, della quale si ipotizza un uso come dispensa o forse semplicemente meditativo.
Tutta la zona è abbracciata dai cumuli rocciosi che caratterizzano la Bessa. Tra le rocce è possibile distinguere dei vialetti, la rudimentale recinzione fatta di pali e filo spinato che delimita l’area e, qua e la, degli spazi, appositamente ricavati, dove crescono ancora oggi, nonostante l’abbandono, i fiori che l’uomo che frequentava la casa nella Bessa aveva piantato.
Appositamente non ho detto che ci viveva, anche se molti lo sostengono. Questo perché non abbiamo trovato nessun ambiente che lui potesse usare per dormire.
Secondo gli abitanti dei dintorni, Borriana e Zubiena, il padrone di casa era un uomo bizzarro, forse un eremita, che amava vivere isolato. Alcuni dicono fosse uno scrittore, mentre altri lo identificano di più come un artista. E questo spiegherebbe in parte la particolare struttura della sua dimora.
Ma potrebbe anche essere che tutto sia una fantasia. Che forse le persone, non capendo esattamente cosa lui facesse in mezzo alla Bessa, abbiano creato questa storiella romanzata e pittoresca per trovare una spiegazione. Un’ipotesi più semplice potrebbe essere che quest’uomo, probabilmente residente poco distante, avesse costruito questa casetta per usarla come rifugio. Magari per venire a creare le proprie opere d’arte o magari per scrivere, ma per tornare poi alla sera alla propria abitazione.
Questo è ancora un mistero. Purtroppo non siamo ancora riusciti a trovare il nome dell’abitante della casa nella Bessa, ma magari i registri comunali o qualche compaesano può ricordare di più a riguardo di questa storia.
Le indagini notturne con l’Estrema Team Camp
Incuriositi dalle nostre scoperte, sono poi giunti nel Biellese i ragazzi della redazione di Mistero, realtà con cui abbiamo già collaborato durante l’esplorazione delle Miniere di Ailoche. Curiosi e desiderosi di scoprire di più su questo luogo.
Assieme a loro sono anche intervenuti i ragazzi del Paranormal Investigation Team, detto più semplicemente i cacciatori di fantasmi, di Torino. Pronti a scoprire se c’è qualcosa di vero riguardo alle voci che parlano di presenze e fatti inspiegabili.
L’Estrema Team Camp è stato montato in un sabato pomeriggio, mentre i ragazzi della troupe osservavano l’area alla luce del giorno e approfondivano un po’ la conoscenza della Bessa. Nel mentre, al campo ci si organizzava per la notte. Qualcuno montava le tende, altri si impegnavano a mantenere vivo il fuoco e altri, con un barbecue portatile, hanno preparato qualcosa da mangiare cotto alla griglia. Il tutto sotto la supervisione dell’Ente Parco, che ha inviato un guardiaparco della Regione Piemonte incaricato di controllare che tutto fosse fatto nel rispetto dell’ambiente.
Richiamati dalla fame, tutti ci stringiamo attorno al fuoco. La serata avanza e il clima si fa umido e molto freddo. Un freddo penetrante, che solo il fuoco riesce a dissipare, ma che sovente rischia di far spegnere il fuoco stesso se non vi prestiamo attenzione.
È passata la mezzanotte quando Paolo, Dhebora, Alfina e Carmelo – la squadra dei P.I.T. di Torino – decidono che è ora di mettersi all’opera. Le telecamere e i microfoni sono stati piazzati. L’ora è giusta, quella in cui, nella notte, le entità si manifestano, ammesso che vogliano farsi vedere.
Una prima squadra si muove verso la capanna abbandonata, la casa nella Bessa. Nel frattempo io resto al campo con alcuni altri, cercando di assorbire quanto più possibile il calore del fuoco che sembra esser sempre più tenue nella notte.
Trascorrono lunghi minuti, finché qualcuno ritorna in cerca di qualche attrezzatura dimenticata nello zaino. Decido di andare con lui. Non ho mai assistito a una caccia ai fantasmi e, nonostante io non abbia timore, provo una certa inquietudine a ‘violare’ di notte questo luogo.
I ragazzi sono radunati nella casetta. Cercano di comunicare con eventuali presenze e osservano le luci intermittenti che si accendono e si spengono sui loro rilevatori. Li chiamano K2, ma non so esattamente cosa significhi.
Assistiamo assorti all’indagine, cercando di non disturbare. L’atmosfera è tesa, come se tutti stessero aspettando una voce, un rumore, un segno che qualcuno, qui, abita ancora.
Il tempo scorre senza che ce ne rendiamo conto. Veniamo scossi solamente dai brividi di freddo che ogni tanto ci ricordano che il fuoco del campo è a qualche centinaia di metri di distanza. Qualcuno ipotizza che sia uno spirito a causare i brividi improvvisi. Io non me ne intendo, per quello che so potrebbero anche avere ragione.
In breve tempo sono le tre, e poi le quattro, e la stanchezza comincia a farsi sentire. I ragazzi perlustrano tutte le zone abitative del ‘villaggio africano’, parlano tra di loro, si scambiano opinioni. Noi cerchiamo di cogliere i discorsi, ma non ci è dato anticipare nulla. Saranno loro a dire cosa hanno trovato nella casa nella Bessa.
Stremati rientriamo verso le tende e ci ritiriamo a dormire. Poche ore ci separano dall’alba e, nel tepore del mio sacco a pelo, tendo l’orecchio quasi aspettandomi di sentire una musica nella notte, un bisbiglio come narrano in paese. Invece scivolo in un sonno profondo per risvegliarmi al mattino al rumore degli altri che tentano di riattizzare il fuoco.
La notte è passata. Con la sua adrenalina, col timore di invadere la casa altrui, con (forse) l’aspettativa e la leggera delusione di non aver sentito nulla a orecchio, e dovendo attendere che i P.I.T. e i ragazzi di Estrema Team visionino i video e ascoltino le registrazioni audio per verificare che non ci fosse realmente qualcuno, ma che semplicemente non si è voluto far trovare.
La casa nella Bessa è ancora li. Al più presto sapremo i risultati delle indagini. Nel frattempo puoi sempre avventurarti in esplorazione nella Bessa e andare a cercarla.
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