Parma: itinerario storico culturale tra parmensi e parmigiani

Da sempre Parma offre ai suoi visitatori monumenti degni di una grande città, come testimoniano ancor oggi il duomo e gli antichi monasteri. In questo articolo ti proponiamo un itinerario a Parma tra storia e cultura.

Passeggiare tra le mura di una città che ha assunto toni cosmopoliti, soffermandosi qua e là ad ammirare lussuose vetrine di piccoli negozi ricavate in antichi palazzi nobiliari, mi permette contemporaneamente di respirare l’aria tranquilla tipica di una cittadina e la brezza di un nobile rinnovamento. E io non posso non sfruttare una così ghiotta occasione per passeggiare in questa straordinaria città.

Mi attrae la sua storia, fatta da importanti personaggi ma vissuta dalla gente comune. Mi piacciono le sue strade e la cadenza della lingua parlata della sua gente, che riescono sempre a rallegrarmi. Situata lungo il corso dell’omonimo fiume e lungo l’antica via Emilia, raccoglie dal tempo antiche memorie e testimonianze di un glorioso passato.

La storia di Parma

Fu fondata dai Romani, benché le origini pare risalgano al periodo etrusco. Secondo alcuni studi il nome attuale della città pare derivare dalla presenza di alcune tribù etrusche chiamate “parmini”, da cui il nome latino di Parmae.

L’attuale città subì un primo ampliamento con i Romani nel II secolo a.C., quando venne ordinato l’insediamento di molte famiglie romane, circa 2000, lungo la via Emilia. A queste famiglie vennero concessi degli appezzamenti di terreno, realizzando così anche la parte emiliana della cosiddetta “Strada delle Cento miglia”, antica via romana che partendo dalla città di Parma scende a sud, lungo la valle del fiume Parma fino al Monte Caio. Da qui, la strada scende poi lungo la valle del torrente Cedra in direzione di Luni, per una lunghezza di cento miglia romane esatte. Collega così la zona di Parma alla Lunigiana (tra la Liguria e la Toscana). Attualmente in città rimangono pochi resti, come l’Anfiteatro romano (nell’attuale via Garibaldi), risalenti a tale periodo.

Alla caduta dell’impero romano, i Goti si stabilirono su un territorio già devastato dalle battaglie contro Attila (Unni). I Bizantini, nel VI secolo d.C., ridiedero alla città una nuova spinta economica, guadagnandole l’appellativo di “Città dell’Oro” (Chrysopolis), perché sede di erario.

Maggiore espansione ebbe con l’arrivo dei Longobardi, i quali elevarono la piccola città al rango di ducato, guidato da un duca con compiti militari e politici. Successivamente Carlo Magno trasformò il ducato in una contea e, ancora, in una diocesi vescovile, controllata da un vescovo-conte.

Chiedo venia per la deformazione professionale, ma non posso non far notare che anche Parma fu funestata da grandi incendi, come quello del 1058, e grandi rilevanti alluvioni, come quella del 1177, oltre a tanti altri piccoli ma importanti eventi sismici e alluvionali. Ma il carattere crudo e forte dei suoi abitanti, fin da allora, seppe trasformare le calamità in opportunità, rilanciando la città e i suoi mercati e riordinandola architettonicamente.

Non posso non sostare un attimo in piazza Grande, l’attuale piazza Garibaldi. È il centro nevralgico della vita cittadina che in parte coincide con l’area dell’antico “forum” romano. L’aspetto della piazza è composito da quando, nel XIII secolo, vi collocarono la sede del podestà Torello da Strada divenuto oggi palazzo comunale, anche chiamato degli Anziani o dei Notai. Nel 1282 fu costruito anche il palazzo dei mercanti, oggi del Governatore, riconoscibile con la sua torre con meridiana e, successivamente, la chiesa di San Pietro del 1760. Al centro della piazza si erge il maestoso monumento dedicato a Garibaldi.

Dettaglio della Cattedrale di Parma
Dettaglio della Cattedrale di Parma – Photo Credit Angel de los Rios on Flickr

Piazza Duomo

La mia visita di Parma non può prescindere dal dare un colpo d’occhio alla meravigliosa piazza Duomo, dove la cattedrale, il suo battistero e il palazzo Vescovile, creano un raro angolo medievale di notevole suggestione.

Il Duomo è una delle più belle espressioni dell’architettura romanica della pianura padana, con la notevole facciata a capanna e la pianta a croce latina. L’interno è ricco di capolavori tra i quali si ammira la cupola affrescata da Correggio (Antonio Allegri).

Il duomo trova qui sedime dopo che una più antica basilica fu distrutta nel IX secolo da un incendio. Ma anche il nuovo duomo dovette comunque subire le volontà della natura, che nel gennaio 1117 fu colpita da un forte terremoto.

L’acciottolato della pavimentazione rende ancor più caratteristica la piazza e, benché la stessa non sia molto grande, il battistero, costruito in marmo rosa di Verona su pianta ottagonale, impegna totalmente la mia vista. Una vera chicca per i cultori d’arte, perché testimonia il passaggio dal romanico al gotico.

Vorrei entrare a guardare gli interni, ma il fatto di dover pagare l’ingresso per entrare nella casa di Dio mi infastidisce.

Volgo la schiena a questo stupendo edificio e mi dirigo verso la chiesa di San Giovanni Evangelista, che dista poche decine di metri dalla cattedrale. L’edificio è tipicamente rinascimentale, ma con facciata e campanile barocchi, e racchiude al suo interno delle mirabili opere d’arte, tutte degne di una sosta di ammirazione.

Mi soffermo un attimo sull’antistante piazza e mi sovviene alla mente la setta eretica degli Apostolici che nella seconda metà del XIII secolo si diffuse a Parma. Tale setta fu condannata dal Concilio di Lione del 1274, e nel 1290 l’eresiarca Gherardo Segarelli fu incarcerato. Evaso, fu imprigionato ancora nel 1294, ma fuggì di nuovo. E infine venne nuovamente catturato nel 1300, quando fu arso sul rogo a Parma il 18 maggio dello stesso anno.

Riporto uno stralcio del verbale del processo che subì:

“Richiesto se un uomo possa toccare una donna che non sia sua moglie, e una donna possa toccare un uomo che non sia suo marito e palparsi vicendevolmente nelle zone impudiche standosene nudi e che ciò possa essere fatto senza ombra di peccato […] rispose che un uomo e una donna, sia pur non uniti in matrimonio, e un uomo con un uomo e una donna con una donna possono palparsi e toccarsi vicendevolmente nelle zone impudiche. Disse che ciò può avvenire senza ombra di peccato a condizione che vi sia l’intenzione di pervenire alla perfezione… non riteneva che tali palpeggiamenti impudichi e carnali fossero peccaminosi, anzi potevano essere fatti senza peccato in un uomo perfetto.”

Questo era già sufficiente per mandarlo al rogo. La sua opera di predicazione fu proseguita da Fra Dolcino. Non volendomi molto dilungare su questo “fattaccio”, posso solo affermare che molto vi sarebbe da dire su queste “crociate”.

Abbazia di San Giovanni Evangelista, Parma
Abbazia di San Giovanni Evangelista, Parma – Photo Credit Pug Girl on Flickr

La storia tra le vie di Parma

Continuo la mia passeggiata tra le antiche case di Parma, ripercorrendo di pari passo la storia della città, che un po’ non mi sovviene, ma che mi riprometto di studiare con più attenzione.

Come tutti i maggiori centri abitati, anche il Medioevo di Parma è caratterizzato dalle signorie e dalle antiche famiglie parmensi.

Divenne ghibellina, ma partecipò nel 1101 alle crociate in Terra Santa appoggiando il papato. Con la sconfitta di Federico Barbarossa la città diviene un libero Comune, che in seguito divenne teatro di una sorta di conflitto eterno tra le più importanti famiglie.

Sempre in pieno centro, trovo il massiccio Palazzo della Pilotta, fatto edificare dai duchi Farnese nella seconda metà del ‘500. Qui sono ospitati la biblioteca Palatina, il Museo Archeologico Nazionale, uno dei teatri storici più belli del mondo come il ligneo Teatro Farnese, il Museo Bodoniano e la Galleria Nazionale, sicuramente una delle più importanti pinacoteche italiane. Purtroppo ho poco tempo e non posso fare una visita accurata come meriterebbe.

Il nome Pilotta deriva dal gioco basco della pelota, che si giocava nei suoi cortili. Ospitava i servizi della corte ducale: magazzini, stalle, scuderie. Ed era collegato al Palazzo Ducale, sull’altra riva del torrente, da un ponte coperto detto del Corridore.

Il vicino parco vede molti studenti universitari sdraiati sul verde e soffice prato, intenti a leggere, studiare e a chiacchierare indisturbati dal via vai di biciclette, mezzo di trasporto più amato dai parmigiani.

Parmensi e parmigiani

Non chiamare gli abitanti di Parma “parmensi”, potrebbero irritarsi. Tale definizione è riservata agli abitanti della provincia, mentre i cittadini sono i parmigiani. Lo sapevi?

Facendo due passi in giro per la città, mi soffermo davanti al neoclassico Teatro Regio, uno fra i più illustri d’Italia.

Il legame che unisce Parma alla musica lirica è molto stretto. Ma Parma ha numerosi altri teatri, sia d’avanguardia che di tradizione, che offrono stagioni di prosa, balletto e musica di nota qualità.

La storia di Antonio Bernacchi

Mi sovviene invece, sostando davanti al Teatro Regio, la storia di un “castrato di dio”, tal Antonio Bernacchi. Nativo di Bologna (23 giugno 1685), egli esordì nel bel canto, dopo il “servizietto”, nel coro del duomo di san Petronio, nella sua città natale e dove aveva studiato canto.

Parma lo ospiterà al servizio del duca Antonio Farnese, che lo nominò suo “virtuoso”. Tornerà diverse volte a cantare a Parma, anche insieme a un altro noto “castrato di dio”, sicuramente il più conosciuto Farinelli (Carlo Broschi). E, benché quest’ultimo fosse più giovane di lui, vi strinse una forte amicizia.

È nota la contesa con il suo rivale Giovanni Carestini (detto Cusanino) alla corte del Re di Napoli. In un primo tempo vinse la tenzone divenendo cantore di corte. Ma solo fino a quando i nobili napoletani, che parteggiavano per il Cusanino, costrinsero il re a rimangiarsi il suo contratto e quello della sua maestra-amante Antonietta, costringendoli così a lasciare Napoli.

Ducato di Parma e Piacenza

Nel 1545 papa Paolo III (nato Alessandro Farnese) creò il Ducato di Parma e Piacenza per destinarlo a suo figlio Pier Luigi. Preso possesso del suo dominio il 23 settembre del 1545, rimase a Parma un solo mese per poi trasferirsi a Piacenza, scegliendola quale capitale e sede della corte. Non mostrò alcuna riconoscenza verso il papa e avrebbe voluto slegare il ducato dalla Santa Sede.

Comunque aprì numerose scuole di medicina, ma anche di diritto e di letteratura latina e greca. Riformò il sistema giudiziario con principi più garantisti (i giudici dovevano motivare gli arresti). Fece costruire nuove vie di comunicazione per favorire il commercio e il libero scambio. Ridisegnò il sistema amministrativo mutuandolo dal modello milanese. Avviò importanti opere di regimazione delle acque dando così forte slancio all’agricoltura, anche abolendo la tassa sul bestiame. Obbligò le parrocchie a censire tutti i parrocchiani dai 10 ai 70 anni d’età e, attraverso un ufficio apposito, censì i beni di nobiltà e borghesia. Anche la sicurezza del proprio ducato fu oggetto di riordino, infatti Pier Luigi Farnese ridisegnò l’organizzazione del proprio esercito e istituì una guardia personale.

Egli era conscio che i nobili lo odiavano e che la borghesia fomentava contro di lui il popolo. Per avere un controllo dei movimenti delle classi agiate, e quindi della sicurezza interna, obbligò chiunque possedeva una rendita superiore a 200 scudi a risiedere in città, pena la perdita dei beni.

Queste precauzioni erano anche utili per la difesa del proprio Stato, proprio perché Carlo V, che aveva assunto posizioni ostili al papa, non aveva visto di buon occhio la cessione del ducato ai Farnese.

Itinerario a Parma nella storia

A seguito di queste ostilità si erano ricostituite le fazioni guelfe. Con il papa la Francia, Venezia, Parma e Ferrara. E quelle ghibelline. Con l’imperatore la Spagna, Genova, i Medici e i Gonzaga.

Fu proprio una congiura organizzata da Ferrante I Gonzaga, conosciuto come Don Ferrante, governatore di Milano legato a Carlo V, a ordinare l’assassinio di Pier Luigi Farnese. Il fatto avvenne il 10 settembre 1547 a Piacenza per mano del conte Anguissola e altri congiurati che pugnalarono il duca mostrando, poi, il cadavere al popolo dalla finestra del palazzo ducale urlando “libertà e Impero”, prima di scaraventare giù nella fossa il corpo straziato.

Ad assassinio compiuto entrarono in città i soldati imperiali che erano da tempo accampati nelle vicinanze.

Lo stesso Don Ferrante Gonzaga venne a prendere possesso del ducato a nome dell’imperatore. E pensare che il duca si era mosso in anticipo costruendosi forti alleanze per evitare la fine del suo ducato, nella convinzione che alla morte del padre, l’imperatore e i suoi alleati si sarebbero scagliati contro di lui. E infatti, per costruire solide alleanze, fece sposare la figlia Vittoria con il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere, e stipulò il contratto di fidanzamento tra il figlio Orazio e la figlia del re di Francia Enrico II, Diana.

Continuò alacremente i lavori di fortificazione del suo ducato, ma tutto inutilmente.

Con la morte del duca e l’occupazione di Piacenza da parte dalle truppe dell’imperatore Carlo V, sotto la guida del Gonzaga, queste iniziarono a marciare su Parma con il pretesto che, anche questa città, doveva sottomettersi al ducato di Milano. Quest’ultimo arrivò a impossessarsi di tutti i territori a ovest del fiume Taro dopo una guerra durata cinque anni.

Il figlio di Pier Luigi, Ottavio, nel frattempo veniva acclamato a Parma nuovo duca dagli anziani e dal popolo. Mentre il papa riuniva il concistoro accusando Don Ferrante della morte del figlio.

Ottavio dovette far fronte dapprima al rifiuto di Carlo V di rendere i territori piacentini occupati e poi controbattere ai rimproveri del nonno, papa Paolo III, il quale era ormai convinto che il ducato fosse prossimo alla fine. Tanto che lo stesso papa inviò le proprie truppe a occupare Parma, ingiungendo al nipote di rientrare a Roma rinunciando ai propri propositi.

Ottavio reagì duramente sia all’imperatore, non accettando di piegarsi alla volontà del Gonzaga, che al papa stesso, dovendo però trovare rifugio nel castello di Torrechiara, a pochi chilometri dalla città occupata dalle truppe papaline.

Con la morte di Paolo III, l’influente cardinale Alessandro (membro della famiglia Farnese) si adoperò a far eleggere papa Giulio III al soglio pontificio. Egli, per riconoscenza, ordinò alle truppe di liberare Parma, riconoscendone la reggenza a Ottavio.

Parma era salva, ma il ducato era monco, senza Piacenza e molti altri territori che erano ancora sotto il dominio di Carlo V e di Don Ferrante Gonzaga.

Per riconquistare i territori persi, la famiglia Farnese strinse un’alleanza con il re di Francia Enrico II, il quale si impegnò ad aiutare il duca Ottavio con truppe e finanze.

Fu una guerra che durò molto tempo, causando prostrazione e carestie alle popolazioni parmensi. E che non produsse alcun risultato per le due parti belligeranti.

L’alleanza di Parma con gli spagnoli

Solo con il nuovo sovrano spagnolo Filippo II, figlio di Carlo V, le cose iniziarono a cambiare e i Farnese capirono che solamente un’alleanza con la Spagna poteva risolvere la loro questione territoriale.

Ottavio firmò la pace di Gand con la Spagna il 15 settembre 1556, cambiando le alleanze e schierandosi con gli spagnoli. Tornò così in possesso di tutti i territori contesi. Il ducato era nuovamente riunito e la capitale trasferita definitivamente a Parma.

Come pegno il duca Ottavio dovette consegnare, quasi come ostaggio, il suo unico figlio Alessandro alla corte di Spagna. Il ducato di Parma, in oltre due secoli, vedrà la successione di otto duchi.

Con Ottavio Farnese e successivamente con suo figlio Alessandro Farnese, terzo duca di Parma e Piacenza (grande condottiero spagnolo), la città consolidò un proprio potere, soprattutto commerciale e culturale. Fu in questo periodo che vennero costruiti importanti edifici storici, tra cui si annovera il complesso della Cittadella.

Il ducato non fu risparmiato neppure dalla terribile peste del 1630, che provocò la morte migliaia di vittime decimando la popolazione dell’intero territorio.

La cattedrale di Parma
La cattedrale di Parma – Photo Credit skyseeker on Flickr

Itinerario a Parma: Palazzo dei Duchi

Le mie passeggiate tra le strade della storia di Parma mi portano a Palazzo dei Duchi Farnese, che venne costruito a partire dal 1561 dal Vignola.

L’aspetto neoclassico gli venne conferito nel ‘700 dall’architetto di corte Ennemond Petitot. Dopo aver ospitato per decenni l’Arma del Carabinieri, l’edificio è divenuto la sede di rappresentanza dell’EFSA (Authority Europea per la Sicurezza Alimentare).

La città sotto i Farnese si arricchì di importanti monumenti. Venne varata una legislazione moderna, che fece di Parma una capitale d’eccellenza per lo stile di vita, elevandola altresì a capitale culturale alla pari di Londra e Parigi.

La macchia più grande del governo dei Farnese fu la pubblica esecuzione di oltre 100 cittadini parmensi accusati da aver cospirato contro il duca.

Con la morte di Ranuccio I nel 1628, il ducato venne trasmesso al figlio appena sedicenne Odoardo. Egli, l’11 ottobre dello stesso anno, sposò a Firenze la quindicenne Margherita de’ Medici, figlia del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici.

I Farnese guidarono Parma fino alla prima metà del XVIII secolo, periodo nel quale il ducato iniziò a essere governato dalla discendenza femminile della famiglia dei Borboni. Infatti nella Reggia di Caserta vi è il grande tesoro dei Farnese.

La reggia fu costruita su volere di Carlo di Borbone, che fu anche duca di Parma e Piacenza tra 1731 ed il 1735, prima di diventare re di Spagna.

Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla

Parma non finisce qui di stupirmi e non si può tralasciare il parco Ducale. È un magnifico esempio di giardino “alla francese”, ricco di opere scultoree con il suo Palazzo Ducale che vi è immerso.

La dominazione borbonica fu intervallata da due periodi di reggenza asburgica e dall’annessione al Primo Impero Francese, durata dal 1808 al 1814. Con gli accordi stabiliti dal Trattato di Fontainebleau dell’11 aprile 1814 e confermate dal Congresso di Vienna, fu restaurato il ducato come Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Venne quindi affidato alla protezione dell’Austria, alla moglie dello stesso Napoleone: Maria Luigia d’Austria, figlia dell’imperatore Francesco I.

“I Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla apparterranno in tutta proprietà e sovranità a sua Maestà l’Imperatrice Marie-Louise (Maria Luigia). Questi andranno a suo figlio alla sua discendenza in linea diretta.

Il principe, suo figlio, prenderà a partire da questo momento il titolo di Principe di Parma, Piacenza e Guastalla…” (art. 5 del Trattato di Fontainebleau dell’11 aprile 1814).

Però, contrariamente a quanto stabilito a Fontainbleau, a Vienna la successione del ducato al figlio di Maria Luigia e Napoleone, cioè al re di Roma, fu sospesa a profitto dei Borbone di Lucca.

Il periodo in cui Maria Luigia regnò su Parma è sicuramente uno dei periodi più ricordati. A Parma si respira ancora la presenza della nobildonna a spasso per la città.

Maria Luigia entrò nel suo nuovo ducato percorrendo a piedi il ponte di barche lungo 363 metri, che attraversava il Po a Casalmaggiore. E il suono delle campane di tutte le chiese della città annunciò l’arrivo della sovrana nella sua nuova capitale.

La nuova duchessa depose il conte irlandese Filippo Francesco Magawly Cerati per sostituirlo con il proprio amante, divenuto in seguito il marito morganatico, il conte Adam von Neipperg.

Il Conte Filippo Francesco Magawly Cerati, nobile irlandese di appena trent’anni, era stato inviato a Parma da Francesco I d’Asburgo, padre della nuova sovrana, nel 1814, a reggere momentaneamente le sorti del ducato in attesa dell’insediamento della figlia.

Costui governò con saggezza, riuscendo a mantenere le conquiste civili ottenute con la precedente amministrazione francese. E contribuì con la sua opera alla realizzazione di quello che più tardi si concretizzò nel Codice Civile promulgato da Maria Luigia. Al contempo riuscì a far rientrare a Parma i capolavori trafugati da Napoleone e ad avviare molte opere, come il ponte sul Taro.

La duchessa attuò un profondo programma di sviluppo e di riforma assistenziali e di riordino delle opere pubbliche, rinnovando la veste urbanistica e architettonica della città e potenziando le vie di comunicazione, con la realizzazione della strada Parma-La Spezia.

Inoltre, fece costruire il cimitero della Villetta, restaurare l’Università che Napoleone aveva retrocesso al ruolo più modesto di Accademia, inaugurò il Teatro Regio e istituì il Conservatorio. Infine volle un Istituto di maternità e la Clinica ostetrica universitaria.

Fin dall’inizio del suo governo dimostrò di essere una sovrana illuminata e, sotto la sua reggenza, nel 1820, viene pubblicato il Codice Civile per gli Stati Parmensi, che ha grande importanza per la storia del diritto italiano.

Si interessò molto della prevenzione e della lotta alle epidemie, con una serie di regolamenti che dovevano servire a contrastare un’epidemia di tifo.

Nel 1831, a seguito dei moti rivoluzionari che sconvolsero Parma tra febbraio e marzo, indirizzati più contro il suo primo ministro (il barone Joseph von Werklein, impostole dal Metternich), Maria Luigia fu costretta ad abbandonare la capitale, affidandola a un governo provvisorio presieduto dal conte Filippo Linati.

Maria Luigia decretò che, fino a nuova disposizione, si sarebbe stabilita con il governo del ducato a Piacenza, dove la sovrana venne accolta calorosamente.

Maria Luigia, per far cessare le ostilità a Parma, chiese rinforzi militari al padre e in agosto le truppe austriache entrarono in Parma e ristabilirono l’ordine con la forza. Ciò permise alla sovrana di far ritorno nella capitale tanto amata. Ma stavolta nel governo nuovamente insediato, senza il barone Werklein, cacciato dal ducato.

“Spesso tutto questo mi sembra un brutto sogno dovuto alla febbre. Da ieri pomeriggio sono terribilmente sconvolta per via di Parma dove hanno preso parecchi ostaggi, tutti poveri tedeschi che avevo in casa: il mio giardiniere di Colorno, il mio confessore, addirittura anche un vescovo” (da uno scritto della Duchessa di Parma – Maria Luigia d’Austria).

L’amata sovrana del popolo parmense resse le sorti del ducato fino al 1847, cioè alla sua morte.

Il periodo dei Borbone

Il ducato fu così riassegnato alla linea parmense dei Borbone. Dapprima con Carlo II di Borbone (Carlo Ludovico duca di Lucca). Il suo regno a Parma fu di breve durata perché nel 1848 anche il ducato fu interessato dai movimenti risorgimentali del 1848. Carlo II di Borbone Parma, per ripianare i debiti contratti dal suo tenore di vita dispendioso, già nel 1844, prima ancora di divenire duca, aveva firmato un accordo in segreto col duca di Modena, con il quale si impegnava a cedere al ducato di Modena il territorio di Guastalla, annettendo però il circondario di Pontremoli ottenendo altresì una forte rendita in denaro.

Da quel momento il ducato cambierà nome in Ducato di Parma, Piacenza e Stati annessi.

I parmensi, per nulla soddisfatti dello scambio tra la fertile terra di Guastalla e le difficili montagne della zona di Pontremoli, storpiarono il nome dello Stato in “Ducato di Parma, Piacenza e sassi annessi”.

Carlo II di Borbone Parma fu accolto freddamente a Parma, una città che non conosceva bene. Era privo di carattere e acume politico per gestire una situazione molto più complicata di quella che aveva lasciato nel ducato di Lucca.

Il ducato il Parma era totalmente dominato dall’Austria e non c’era spazio per i modi semplici e frivoli di Carlo.

Scrisse al suo amico Thomas Ward, dissoluto ex fantino inglese: “È meglio morire che vivere così. Durante il giorno, e quando sono solo, piango. Ma questo non aiuta”.

Il fiume Parma
Il fiume Parma – Photo Credit niko baldi on Flickr

Verso l’unità d’Italia

Aveva inoltre sposato la principessa Maria Teresa di Savoia, una delle figlie gemelle del re Vittorio Emanuele I di Sardegna. La storia dell’unità nazionale mi parla attraverso voci che riecheggiano dalle finestre dell’attuale strada della Repubblica e riportano la mia mente a quanto studiato sui libri di storia, quando nel 1848 la rivoluzione scoppia a Parma.

Roberto I fu costretto a scegliere tra la oppressione violenta della rivoluzione o la concessione di riforme. Decise per la seconda e nominò una reggenza con il compito di preparare una Costituzione. La sua volontà era quella di salvare il trono per il figlio e chiese aiuto a Carlo Alberto di Savoia.

Piacenza aveva già chiesto di aderire al Piemonte e Carlo Alberto voleva l’annessione. La città, arringata dalle parole di Vincenzo Gioberti, proclamò l’annessione al Piemonte il 17 maggio 1848 tramite un plebiscito. Su 39.703 votanti, ci furono 37.250 voti favorevoli e un editto dei Savoia proclamò l’annessione della parte parmense e del guastallese.

Quella piacentina era già stata annessa con il precedente plebiscito del 10 maggio. Ma durante la Prima Guerra d’Indipendenza italiana, l’esercito austriaco sconfisse le truppe di Carlo Alberto prima a Custoza e poi a Milano.

Con la successiva firma dell’armistizio di Salasco, il 9 agosto 1848, ha termine la prima guerra d’indipendenza italiana. Nel 1849 il generale Radetzki, a capo delle truppe austriache, occupa Parma e Piacenza e la reggenza viene trasformata in un governo provvisorio. Carlo II di Borbone Parma abdica in favore del figlio Ferdinando Carlo, che assume il nome di Carlo III.

Il nuovo Duca fece il suo ingresso solenne nella sua nuova capitale nell’agosto 1849. Aveva sposato il 10 novembre 1845 Luisa Maria Teresa di Francia, sorella maggiore del pretendente al trono legittimista di Francia.

Egli, protetto dalle truppe austriache, tenne il ducato sotto legge marziale, inflisse pesanti sanzioni ai componenti dell’antico governo provvisorio e chiuse l’università e molte altre organizzazioni. Venne pugnalato a morte con un colpo allo stomaco, sulla via antistante la chiesa di santa Lucia, alle 5 e tre quarti del 26 marzo 1854 dall’anarchico ma di idee mazziniane Antonio Carra, mascherato con un tabarro.

Riuscito a sfuggire a un breve inseguimento da parte di un soldato, questi trovò rifugio tra amici. Carra fu arrestato tra i sospetti e rinchiuso nelle carceri di San Francesco. Con abilità e fortuna riuscì a dimostrarsi innocente, fornendo un alibi valido e dopo dieci giorni di prigione fu liberato e migrò in Argentina.

Dopo le solenni esequie, che ebbero luogo il 1 aprile nella chiesa reale di san Lodovico, il suo corpo, per espresso volere del duca, fu tumulato nella Cappella della “Macchia” vicino a Viareggio. Mentre il suo cuore, riposto in un’urna di cristallo e argento, è deposto nella cripta della chiesa della Steccata di Parma.

Il figlio di Carlo III di Borbone Parma, Roberto, diviene il nuovo duca di Parma, con il nome di Roberto I, sotto la reggenza della madre a causa della sua giovane età di solo sei anni.

Luisa Maria è ricordata come donna e madre virtuosa, coraggiosa e sapiente nel reggere le sorti del ducato in un momento così difficile della storia d’Italia.

In quegli anni, nel 1855, una terribile epidemia di colera colpì Parma e nella sola città fece 10.000 vittime. Luisa Maria, oltre a risanare le casse del piccolo stato, ridusse notevolmente il numero della forza militare da 5000 a 2000 uomini, ritenendo che lo Stato fosse troppo piccolo per affrontare una guerra. Ma la volontà popolare di unità nazionale ormai aleggiava ovunque in tutta la penisola e la duchessa reggente, nella primavera del 1859, lanciò da Parma un proclama dove diceva: “…poiché gli umani desideri delle grandi potenze non sono riusciti ancora alla riunione di un congresso europeo… e intanto in sì grande prossimità ai Reali nostri stati si è accesa la guerra, i doveri di una madre ci impongono di porre al sicuro dalle eventualità di essa i nostri amati figli”.

Dopo aver messo al sicuro i figli lasciò la reggenza a una Commissione ducale che non ebbe il tempo di governare perché una Giunta democratica, eletta dal popolo, s’insediò al suo posto.

Passarono pochi giorni e il 3 maggio le forze militari ripresero possesso del ducato e il presidente della Commissione ducale lanciò un proclama in cui auspicò il rientro del piccolo duca e della duchessa reggente.

La città accolse festosamente il loro rientro. Ma la loro permanenza a Parma durò poco: i piemontesi il 4 giugno vinsero a Magenta e ciò costrinse, il 9 giugno, Luisa Maria con i suoi figli a lasciare definitivamente il suo ducato.

Il Regno di Sardegna e la storia recente

Con l’annessione ufficiale di Parma e Piacenza al Regno di Sardegna del marzo 1860, Roberto I perse il trono e fu l’ultimo duca di Parma e Piacenza.

Con l’armistizio di Villafranca, nel 1860, il ducato diventa parte del Regno d’Italia. Dal 1879, la storia della città si confonde con quella dell’Italia.

Già troppo mi sono dilungato nel narrare la storia della città. Mi ero ripromesso di essere breve, di soffermarmi poco sulla parte da me preferita e cioè la storia napoleonica e su Maria Luisa Leopoldina Francesca Teresa Giuseppa Lucia d’Asburgo-Lorena, nota semplicemente come Maria Luisa d’Austria o Maria Luigia di Parma (Vienna, 12 dicembre 1791 – Parma, 17 dicembre 1847) che fu imperatrice dei francesi dal 1810 al 1814 come consorte di Napoleone I, e duchessa regnante di Parma, Piacenza e Guastalla dal 1814 al 1847 per volere del congresso di Vienna.

Ci sono riuscito, ma mi sono perso subito dopo con la dinastia dei Borboni e spero non ne abbiate voluto male. Ma passeggiare per Parma senza toccare le mura del centro, così intrise di storia e non sapere il perché, per il sottoscritto è quasi impossibile.

Faccio solo due cenni agli anni di storia recente per ricordare il coraggio e la caparbietà dei suoi abitanti.

Parma, infatti, viene ricordata per essere stata protagonista nel 1922 di uno dei rari episodi di resistenza antifascista dell’epoca, che le meritarono la fama di città “corridoniana”, con innalzamento da parte dei cittadini delle “Barricate” al fine di impedire alle Camicie Nere di Italo Balbo l’accesso ai quartieri dell’Oltretorrente.

Non occorre evidenziare, perché risaputo, il particolare coraggio dimostrato dalla popolazione durante il periodo della Resistenza nella lotta al fascismo, per la quale alla città venne riconosciuta la Medaglia d’Oro al valore militare:

“L’impari lotta, sostenuta con la stessa fede dei padri e col sangue dei figli migliori, cominciava per merito dei primi volontari della libertà all’alba del 9 settembre 1943 e si concludeva il 25 aprile 1945 con la sollevazione del popolo tutto che affiancando i settemila e cinquecento fratelli partigiani combattenti, costrinse alla resa e vide la fuga del nemico”.
Alla città di Parma (9 settembre 1943 – 25 aprile 1945) così è ricordata la motivazione per il conferimento della medaglia.

La giornata è volata troppo rapidamente. Sono da un lato contento di aver viaggiato con il pensiero in tante parti della storia locale, calpestando antichi selciati e camminando all’ombra di palazzi storici che furono protagonisti della storia d’Italia.

Ho assaporato per una intera giornata l’armoniosa brezza di una antica città universitaria che è riuscita a mantenere integro il suo aspetto, facendolo altresì conciliare con le moderne esigenze di un’epoca che corre troppo veloce.

Ho il rimpianto di non aver potuto visitare il museo interamente dedicato al ricordo della duchessa di Parma e Piacenza, il museo Lombardi, fondato nel 1912 da Glauco (1881 – 1970), il massimo raccoglitore di cimeli di Maria Luigia. È allestito in quello che un tempo era chiamato il palazzo di Riserva e che si trovava proprio di fronte al palazzo ducale, distrutto dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale.

Ma avrei voluto visitare anche la pinacoteca Stuard, le chiese di Sant’Antonio, di San Sepolcro, dell’Annunciata e di Santa Maria del quartiere, la casa natale di Arturo Toscanini, la casa della Musica, il Castello dei Burattini (con la splendida collezione dei Ferrari), l’auditorium Paganini. Mi riprometto di vedereli non appena potrò tornare in questa nobile e silenziosa città, così lontana dal trambusto metropolitano di città anonime e senza storia.

Parma è per me indimenticabile.

Dove dormire a Parma

Parma vista dal drone
Parma vista dal drone – Photo Credit Città di Parma on Flickr

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