Dagli Stati Uniti, il nostro collaboratore Marco, continua a farci sognare con i suoi racconti. Questa volta ci parla di New York, una metropoli spesso assediata dai turisti, ma basta guardarla da una diversa prospettiva per poter scoprire i suoi lati più autentici.
La prima volta che ho visitato New York sono rimasto profondamente deluso.
Vivendo di fronte a Washington, in una zona dove è possibile apparecchiare sui marciapiedi senza il rischio di infrangere le più elementari norme igieniche e dove il tenore di vita è uno dei più alti della nazione, mi sono trovato di fronte uno spettacolo cui non ero preparato. New York è completamente diversa dallo splendore borghese del mio sobborgo.
La seconda volta ho capito che sbagliavo e ho cominciato ad amarla.
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Diverse prospettive di New York
Per capire New York bisogna lasciare perdere tutte le prospettive con cui siamo abituati a giudicare una città. Bisogna cambiare punto di vista, cambiare riferimento, cambiare il modo di vedere le cose.
Bisogna abbandonare i propri concetti di giusto o sbagliato, normale o strano, bello o brutto. Occorre guardare la città con occhi diversi, sforzandosi di viverla e assaporarla come fanno i suoi abitanti.
È un’impresa veramente difficile per gli europei. Siamo abituati da sempre a considerare le città al pari della natura, immutabili ed “eterne”, per usare una definizione che noi italiani conosciamo bene. New York non rientra in questa logica, è inutile tentare paragoni di questo tipo.
Solo compiendo questa metamorfosi il viaggiatore può capire cosa significhi vivere in una città ubicata per la stragrande maggioranza su isole collegate fra loro da pochi scenografici ponti (il solo Bronx è sulla terraferma), la cui superficie è circa due terzi di quella di Roma, ma la cui popolazione è il triplo di quella della nostra capitale.
Sono sicuro che chiunque sia stato nell’Urbe abbia presente il senso di affollamento che pervade opprimente le strade e i viali. Figuriamoci cosa può succedere a Manhattan, dove la densità abitativa arriva anche a 25.000 persone per chilometro quadrato.
L’ordine di grandezza dei problemi quotidiani viene amplificato a dismisura. Raggiungere il proprio posto di lavoro o fare la spesa possono diventare imprese titaniche. Ma i “New Yorkers” li affrontano con spirito spavaldo e intraprendenza inossidabile, nella migliore tradizione dei padri fondatori. E hanno tutte le ragioni di considerarsi una razza eletta, una condizione che una volta raggiunta diventa difficile da abbandonare.
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Vivere la città di New York, non visitarla
Un soggiorno a New York non può dirsi completo se non include una visita ai luoghi eletti e ai santuari dei suoi cittadini. Fuori dai percorsi turistici, che portano milioni di visitatori ad accalcarsi sul molo a Battery Park per imbarcarsi sul traghetto per la Statua della Libertà o di fronte all’ingresso dell’Empire State Building, esistono degli angoli remoti dove i ritmi frenetici della “città che non dorme mai” si abbassano fino alla soglia del metabolismo basale.
Luoghi dove il tempo si è quasi fermato, dove i rumori arrivano ovattati, al limite del fantastico. Sono queste le isole dove gli abitanti si rifugiano dalle orde rumorose dei turisti, e si ritrovano per condividere la loro diversità.
Il mio preferito é Washington Square, epicentro della voglia di aggregazione e di espressione dei New Yorkers.
Assistere a un improvvisato concerto per pianoforte, essere invitati a giocare a scacchi da un signore brizzolato, farsi travolgere da un tango assieme a altre coppie di aspiranti ballerini, sono solo alcuni esempi dello spettacolo umano che offre la piazza.
Uno spettacolo che si ripete ogni giorno, per niente disturbato dall’alternarsi delle stagioni, sempre diverso.
Washington Square è uno dei luoghi simbolo del Village, diminutivo usato dai New Yorkers per indicare il quartiere di Greenwich Village.
Le sue strade strette e le case a due piani di mattoni rossi ci riportano indietro di quasi due secoli. La distanza dai grattacieli di vetro e acciaio di Manhattan sembra immediatamente siderale. Le sue boutique all’avanguardia e i suoi ristoranti etnici ci parlano di una fortissima propensione al cambiamento e alla sperimentazione.
Soho è un altro quartiere che mi ha rapito, grazie alla magia dei suoi palazzi dall’architettura senza tempo. Nei suoi negozi eleganti puoi finalmente entrare e curiosare tranquillo, senza assilli di tempo e lontano dalle folle della 5° Strada che rendono quasi impossibile camminare.
E chi riesce a resistere al ritmo incalzante di un Gospel proveniente da una chiesa improvvisata in un vicolo di Harlem, vicino all’Apollo Theater dove hanno cantato Ray Charles, Aretha Franklin, James Brown, Steve Wonder e Michael Jackson, giusto per citarne alcuni?
Chi vuole rilassarsi può dirigersi senza esitazione al RiverSide Park, all’altezza del più celebrato Central Park. Più piccolo e meno caotico, la sua posizione privilegiata lungo il fiume Hudson lo rende il luogo ideale per una giornata fatta di panorami indimenticabili.
E chi invece ha nostalgia dei sapori nostrani deve recarsi da Veniero’s nell’East Village. Dopo avere attraversato il quartiere ucraino e i suoi minuscoli angoli improvvisati, sedersi a uno dei suoi tavoli permette di osservare l’umanità variegata che lo frequenta.
Sono proprio loro, gli abitanti, che rendono New York unica a mondo: sono la sua linfa vitale che popola le strade senza fine e le rende vive e pulsanti.
Guardare oltre la copertina
Ecco, New York è soprattutto questo. New York è come una rivista. I suoi musei e i suoi monumenti famosi in tutto il mondo ne rappresentano la copertina, che invoglia il lettore all’acquisto con la sua grafica accattivante e le sue foto ad effetto.
Poi i suoi 1000 microcosmi, le sue 1000 realtà, la sua gente e i suoi palazzi ne rappresentano gli articoli, da gustarsi lentamente alla ricerca del messaggio nascosto in ognuno di essi.
Testi e fotografie di questo post sono di Marco Scandali, ‘Un italiano negli USA‘.
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